Contro i pregiudizi e la scarsa valorizzazione: perché puntare sulla trasparenza retributiva

Contro i pregiudizi e la scarsa valorizzazione: perché puntare sulla trasparenza retributiva

La parità retributiva, intesa come la garanzia che uomini e donne ricevano un compenso equo per un lavoro di uguale valore, è una pietra angolare nella costruzione di una società giusta e inclusiva. In Europa, la Commissione Europea ha svolto un ruolo cruciale nel promuovere e garantire la parità retributiva attraverso una serie di direttive e politiche mirate. La Commissione Europea ha costantemente ribadito l’importanza di questo principio, sottolineando che la discriminazione retributiva basata sul genere non solo viola i principi fondamentali dell’Unione Europea, ma mina anche l’efficacia del mercato del lavoro e la coesione sociale.

La discriminazione retributiva individuale e i pregiudizi sistemici nelle strutture retributive sono solo una delle cause profonde del divario retributivo di genere, che si aggiungono ad altre cause, quali la segregazione orizzontale e verticale. In particolare, il divario retributivo tra i sessi si allarga con l’età – durante la carriera e parallelamente ai crescenti bisogni familiari – mentre è piuttosto basso quando le donne entrano nel mercato del lavoro. L’incidenza della mancata attuazione del diritto fondamentale alla parità retributiva incide sull’indipendenza economica delle donne durante la loro vita lavorativa e successivamente. Con meno denaro da risparmiare e investire, infatti, questi divari si accumulano e di conseguenza le donne sono a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale in età avanzata.

Minor parità, minor efficienza del mercato del lavoro
La minor indipendenza economica delle donne durante la loro vita lavorativa e successivamente costituisce un problema per il funzionamento efficiente del mercato del lavoro e per la concorrenza nel mercato interno. Se mal riposte, infatti, le aspettative sulle future retribuzioni possono distorcere le scelte compiute dalle donne in merito all’occupazione, alle decisioni sul tempo di lavoro e ai modelli di carriera; ciò genera pertanto un chiaro rischio di perdita di produttività nell’economia nel suo complesso a causa della partecipazione non ottimale delle donne al mercato del lavoro. Per i datori di lavoro, tale uso inefficiente delle risorse comporta una perdita di produttività e costi nascosti. Le divergenze nel trattamento retributivo tra donne e uomini possono anche avere un impatto sulla competitività dei datori di lavoro, nella misura in cui i datori di lavoro che non rispettano il principio della parità retributiva possono beneficiare, eventualmente applicando norme divergenti da un paese all’altro, di un vantaggio indebito (e illegale).

Maggior trasparenza retributiva per correggere pregiudizi e migliorare l’occupazione
Uno strumento per prevenire e risolvere le disfunzioni del mercato del lavoro in tema di parità retributiva è stato individuato nella promozione di una maggiore trasparenza. Rivelando eventuali disparità salariali tra uomini e donne, essa mette in luce le discriminazioni retributive basate sul genere e favorisce un ambiente lavorativo più equo. Quando le politiche retributive sono trasparenti, i dipendenti sono più consapevoli dei criteri di valutazione salariale e delle opportunità di crescita professionale, riducendo così il rischio di discriminazione di genere. La trasparenza retributiva incoraggia anche una maggiore responsabilità da parte delle aziende nel garantire l’equità salariale e nel creare opportunità di sviluppo paritarie per uomini e donne.

Le misure adottate a livello europeo per la parità
L’attuazione del principio della “parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore” – un diritto dell’UE dal 1958 – continua a tutt’oggi a rappresentare una sfida non ancora vinta in molti Paesi dell’Unione Europea.

Recentemente, a livello europeo, è stata emanata la Direttiva (UE) 2023/970 che ha stabilito l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, anche attraverso l’applicazione del principio della trasparenza retributiva. Gli Stati membri sono chiamati a conformare la legislazione domestica entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva impone agli Stati membri un adeguato apparato sanzionatorio, proporzionato e dissuasivo, che colpisca i datori di lavoro che perpetrano trattamenti discriminatori o che pongano in essere comportamenti ritorsivi nei confronti di lavoratori e lavoratrici che rivendichino la parità di trattamento retributiva; oltre a misure restitutorie e riparatorie da applicare nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici che abbiano subito un trattamento discriminatorio, capaci di risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale subito, compreso quello da perdita di chance, senza che possa essere fissato un massimale. Da porre in evidenza come la trasparenza retributiva di genere sia stata inclusa tra le priorità chiave nella richiamata Strategia Europea per la parità di genere 2020-2025. L’importanza della trasparenza retributiva si coglie anche nell’acronimo ESG (Environmental, Social e Governance) ovvero l’impegno a tutela dell’ambiente, il rispetto dei diritti umani e sociali e la trasparenza nell’attività di amministrazione e di governo aziendale, fattori che evidentemente richiedono l’adozione da parte delle imprese di misure volte a garantire anche un trattamento economico trasparente e pari opportunità tra uomini e donne.

Le norme europee per spingere la trasparenza retributiva
Le recenti normative dell’Unione Europea mirano a potenziare la trasparenza salariale e l’applicazione delle leggi in materia. In questo nuovo quadro normativo, i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai potenziali candidati informazioni chiare sulla retribuzione prevista per le posizioni aperte, sia tramite annunci di lavoro che durante i colloqui. Per i datori di lavoro è inoltre vietato chiedere informazioni sulle retribuzioni passate dei candidati. Una volta assunti, i dipendenti hanno il diritto di richiedere informazioni sui livelli retributivi medi e i criteri per la progressione di carriera, assicurandosi che siano equi e trasparenti, senza discriminazioni di genere.

C’è inoltre un obbligo di comunicazione del divario salariale di genere all’autorità competente che spetta alle imprese: una richiesta a cui le grandi dovranno adeguarsi con cadenza annuale mentre le piccole è prevista ogni tre anni o non è richiesta affatto se sotto i cento dipendenti. Se emerge un divario salariale ingiustificato superiore al 5%, le imprese dovranno collaborare con i rappresentanti dei lavoratori per valutare e correggere le discrepanze.

Le nuove normative permettono ai dipendenti che subiscono discriminazioni salariali di ottenere un risarcimento completo, inclusi arretrati e bonus. In caso di controversie, l’onere della prova ricade sul datore di lavoro, che deve dimostrare di non aver violato le leggi UE sulla parità salariale.

Per la prima volta, le norme includono la discriminazione intersezionale e prevedono disposizioni specifiche per le persone con disabilità, garantendo una maggiore inclusione ed equità sul luogo di lavoro.