La previdenza integrativa quale leva di sviluppo economico e occupazionale per il territorio veneto

La previdenza integrativa quale leva di sviluppo economico e occupazionale per il territorio veneto

COMUNICATO STAMPA

 La previdenza integrativa quale leva di sviluppo economico e occupazionale per il territorio veneto

Nell’incontro promosso da Veneto Welfare le riflessioni di istituzioni ed esperti del settore sulle possibilità di sviluppo del territorio offerte dal sistema dei fondi previdenziali, anche attraverso un ritorno degli investimenti sull’economia reale.

Ammonta a oltre 953 miliardi di euro, pari al 58% del Pil nazionale, il patrimonio di fondi pensione, casse previdenziali e fondazioni bancarie in Italia, ma la maggior parte delle risorse si dirige verso l’economia estera. Su un totale di circa 155 miliardi di euro di TFR confluiti nelle forme di previdenza integrativa tra il 2007 e il 2018, solo 36 miliardi di euro sono ritornati alle imprese italiane sotto forma di investimenti diretti. I maggiori investitori nell’economia reale a livello nazionale sono le Fondazioni bancarie, che investono il 44% del proprio patrimonio e le Casse privatizzate dei liberi professionisti (21%), mentre Fondi pensione preesistenti e Fondi pensione negoziali si aggirano attorno al 4%.

Ma perché gli investitori non riconoscono come attrattive le possibilità di investimento offerte dal territorio? Quali sono le strategie più efficaci per favorire un ritorno sull’economia reale e, attraverso di essa, generare nuove opportunità occupazionali?

Queste le domande cui ha tentato di dar risposta l’incontro online promosso da Veneto Welfare, unità operativa di Veneto Lavoro che ha tra i propri compiti la promozione della previdenza complementare, che lo scorso 7 ottobre ha messo a confronto rappresentanti delle istituzioni, esperti del settore e amministratori dei Fondi Pensione più rappresentativi sul rapporto tra previdenza integrativa e investimenti nell’economia reale.

“Invecchiamento della popolazione, discontinuità dell’età lavorativa e allungamento dell’età pensionabile – ha sottolineato Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro – sono fenomeni che dimostrano quanto sia centrale il tema della previdenza complementare e strategica la scelta di presidiare il fenomeno da parte della Regione del Veneto attraverso l’unità operativa Veneto Welfare. L’aumento del numero degli iscritti che abbiamo osservato negli ultimi anni ne è chiara testimonianza e ci ha consentito di superare la soglia del 40% di lavoratori veneti che aderiscono ai Fondi rispetto a una media nazionale del 24%. Un segnale importante ma non sufficiente se non sarà accompagnato da un ritorno degli investimenti capace di generare sviluppo sul territorio. È per questo motivo che lo abbiamo inserito tra i fattori chiave del sistema regionale di accreditamento delle forme di welfare collettive ora pienamente operativo in Veneto”.

Il tessuto imprenditoriale italiano, e veneto in particolare, è costituito in larghissima parte da piccole e medie imprese che da sole garantiscono oltre l’80% dell’occupazione totale. Tra di esse emergono anche realtà industriali, spesso leader nelle proprie nicchie di mercato, ed eccellenze con margini di sviluppo elevatissimi (nell’agroalimentare, nel tessile, nella meccanica, nella robotica) che si trovano a fare i conti con problemi di liquidità e difficoltà di accesso al credito e sulle quali sarebbe opportuno investire.

Le possibilità di investimento nell’economia reale, finanziando attività che contribuiscono al benessere delle persone ma in grado al contempo di garantire rendimenti competitivi, quindi non mancano. Così come non mancano esempi virtuosi di chi ne ha compreso l’importanza.

Paolo Stefan, Direttore generale di Solidarietà Veneto Fondo Pensione, realtà territoriale che oggi rappresenta oltre 100 mila lavoratori e che negli ultimi due anni ha visto una crescita degli iscritti del 10%, ha ricordato come già a partire dal 2013 il Fondo abbia intrapreso la via dell’investimento nelle PMI e nell’economia reale, con il private equity e i minibond, e in alcuni progetti infrastrutturali a forte vocazione territoriale. “È stata proprio la crescita del patrimonio e degli iscritti che ci ha spinto a investire nell’economia reale, soprattutto in termini di diversificazione del patrimonio e di riduzione dei livelli di rischio – ha spiegato Stefan – Oggi, dopo il rallentamento dovuto al Covid-19, possiamo entrare in un nuovo contesto: quello della normalizzazione di un investimento che forse non dovrebbe neppure più definirsi ‘alternativo’. Attraverso gli investimenti in economia reale, il ‘capitale paziente’ originato dall’investimento previdenziale può contribuire in maniera decisiva allo storico processo di rinnovamento del sistema economico nazionale, che con il PNRR sta prendendo avvio.

Il TFR è il ‘sangue’ dell’economia reale – ha concluso il Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e tra i massimi esperti del settore – Il mercato italiano del patrimonio dei Fondi Pensione sta diventando un mercato interessante e di spessore, anche perché le diversificazioni attuate negli ultimi anni hanno dato buoni risultati in termini di rendimento. Nell’economia reale, però, si investe ancora molto poco. Una delle cause è stata inevitabilmente l’abolizione del Fondo di Garanzia istituito nel 2005 che garantiva alle piccole imprese un ritorno di quanto versato in termini di TFR al sistema Fondi. Noi oggi scontiamo anche gli effetti del ‘credit crunch’ del 2008 e della successiva crisi del 2013, che hanno determinato una crisi delle imprese soprattutto in termini di liquidità, e di una fiscalità che non agevola i Fondi. Il primo livello di distruzione dell’economia reale e dei Fondi Pensione è nato così. Ciò che dovremmo fare ora è innanzitutto reinserire il Fondo di Garanzia e intervenire con urgenza sulla fiscalità. Bisogna inoltre affrontare il problema demografico che vivrà il suo momento di maggiore transizione tra circa vent’anni, quando non avremo più forze lavoro sufficienti. Dobbiamo intervenire ora, favorendo il rientro al lavoro di quanti oggi non hanno un’occupazione, non pagano i contributi, non pagano imposte e sono quindi a carico della collettività. Servono meno sussidi e più politiche di attivazione al lavoro. Investimenti nell’economia reale e incremento dei livelli di occupazione sono la chiave del successo non solo per i Fondi Pensione ma anche per lo sviluppo del nostro Paese”.