Il distretto della felicità: i primi passi verso il welfare territoriale
Il mondo del lavoro non è un elemento stabile, la popolazione attiva è infatti in continuo movimento, determinando un cambiamento delle necessità delle nuove lavoratrici e lavoratori. Fino agli anni Settanta il principale soggetto lavoratore era l’uomo, padre di famiglia, a cui spettavano tutte le funzioni di sostentamento della famiglia: per questo motivo tutte le dinamiche che implicavano una rigidità dell’orario del lavoro non erano un problema, poiché la flessibilità del lavoro del padre era consentita dalla presenza della donna in casa. Quest’ultima, nel privato, all’interno delle mura familiari, portava avanti senza riconoscimenti e avvaloramento le necessità fondamentali della famiglia e dell’uomo lavoratore, preparandolo al lavoro in un’ottica di riproduzione della società.
A partire dagli anni Settanta-Ottanta, la figura della donna acquista un rilievo diverso, affacciandosi al mercato del lavoro e cominciando ad ottenere una maggiore visibilità, anche economica. I cambiamenti sociali di quegli anni hanno spinto gli imprenditori del territorio a ridefinire le modalità lavorative in modo tale che rispondessero in maniera più efficiente alle esigenze delle famiglie. Famiglie che fino a quel momento, oltre a basarsi sul lavoro invisibile delle donne, erano sostenute da una rete più grande, prevedendo talvolta la convivenza, sotto lo stesso tetto, di più nuclei familiari composti da nonni, zii ecc. che consentivano in questo modo di espletare tutte le funzioni familiari.
Un’organizzazione del lavoro a misura anche di donne e di giovani?
Anche in Romagna, nel distretto calzaturiero del Rubicone, gli orari lavorativi adottati fin dal principio dalle imprese del territorio erano: 8-12 e 14-18. Un assetto organizzativo che ha funzionato finché sono intervenuti i cambiamenti nelle dinamiche demografiche e sociali che hanno determinato la necessità di una rivalutazione dell’assetto contrattuale. L’idea del distretto della felicità arriva nel 2013, promossa da un gruppo di consulenti del lavoro del territorio di San Mauro Pascoli, il principale distretto calzaturiero dell’Emilia Romagna. Questi professionisti intercettano la tendenza ad uscire dal settore delle calzature di donne e nuove generazioni. Per capire meglio le ragioni alla base dei cambiamenti in atto, questi professionisti diedero vita ad una ricerca articolata in due rilevazioni. Una prima indagine ha avuto come obiettivo quello di rilevare le preferenze dei lavoratori e le loro esigenze nella gestione degli orari lavorativi ed extralavorativi; la seconda si proponeva invece di monitorare l’andamento del cambiamento d’orario e di valutare come i servizi di welfare territoriale potessero operativamente soddisfare le esigenze dei lavoratori. In un primo momento, quindi, è stato somministrato un questionario a 629 dipendenti distribuiti tra 15 aziende dell’area di San Mauro Pascoli scoprendo come, in generale, la maggioranza dei lavoratori si dicesse soddisfatta dagli orari lavorativi. Tuttavia, questa maggioranza era composta da uomini, lavoratori meno disposti al cambiamento e meno coinvolti nelle attività extralavorative. Sono stati i giovani e le lavoratrici invece a fornire un riscontro diverso, quasi innovativo: i primi hanno sottolineato come fondamentale avere il tempo necessario per dedicarsi ad attività ricreative; le seconde motivando questa stessa necessità in un’ottica di conciliazione vita-lavoro, poiché spesso erano loro a dover gestire le esigenze familiari, rinunciando così ad eventuali opportunità lavorative.
Cambiare il lavoro per conciliarlo con le esigenze di vita
L’insoddisfazione espressa da questa minoranza di lavoratori e lavoratrici ha spinto i consulenti del lavoro a rispondere alla richiesta di cambiamento, mettendo in evidenza la difficoltà di conciliare il tempo di lavoro con le altre attività (commissioni, visite mediche, acquisti ecc.), il tempo libero, i lavori domestici, la cura di sé e dei figli e le relazioni sociali.
Sulla base di questi risultati, i promotori del progetto hanno attuato una serie di iniziative, riuscendo a coinvolgere una vasta gamma di attori, per andare a creare un ambiente favorevole alle esigenze dei lavoratori e più soddisfacente, in particolare:
- modifica dell’orario lavorativo da parte delle imprese, in funzione di una maggiore conciliazione dei tempi di vita e lavoro;
- modifica degli orari di alcuni servizi comunali tra cui: scuole e medico di base per contemperare le esigenze dei lavoratori in funzione dei nuovi orari programmati dalle aziende.
A distanza di 4 anni, nel 2018, una volta metabolizzato il nuovo cambio orario, è stata proposta ai lavoratori del distretto una seconda rilevazione. In questo caso, è emerso come l’83% di coloro che utilizzavano il nuovo schema organizzativo risultasse soddisfatto del cambio orario, anche nel caso di coloro over 50 che, in passato, si erano espressi a sfavore della nuova tipologia di orari.
Questa nuova rilevazione ha raccolto anche le valutazioni che i lavoratori davano dei servizi e della loro capacità di rispondere alle esigenze personali e familiari. È così emersa la proposta di attivare settimane scolastiche corte, con sabati a casa e rientri pomeridiani più lunghi, la necessità di rivedere gli orari dei medici di base e la disponibilità di mezzi di trasporto pubblico, con una evidente necessità di sviluppare mense aziendali e buoni pasto per la gestione della pausa pranzo. Il dato più interessante registrato è stata la disponibilità espressa dai lavoratori ad investire il tempo guadagnato in iniziative sociali di volontariato.
Guardando a come questi interventi sono stati sviluppati, l’innovatività dell’iniziativa è riconducibile alla capacità che ha avuto di dare voce alle lavoratrici e ai lavoratori, compresi i più giovani, coinvolgendo tutti i segmenti della società, nell’ottica di costruire una comunità unita, soddisfatta del proprio lavoro, dei servizi e che consente loro di dedicare maggior tempo allo sviluppo delle proprie passioni.
Il distretto della felicità, da recenti notizie, si è negli anni arenato, tuttavia è importante sottolineare la portata che ha avuto, compresa la capacità di creare rete con i vari attori presenti sul territorio che ha portato alla costruzione di un primo sistema locale di welfare territoriale.