Cos’è il Gender Employment Gap?
Il Gender Employment Gap misura il divario occupazionale di genere e si calcola come differenza tra i tassi di occupazione degli uomini e delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni in relazione al lavoro formale e regolarmente retribuito.
Nell’UE, nel 2022, il Gender Employment Gap è stato in media pari al 10,7: il che significa che la percentuale di uomini occupati superava quella delle donne di 10,7 punti percentuali (Eurostat). Rispetto al 2019 – ultimo anno prima della pandemia, evento che ha colpito duramente proprio le donne che hanno visto crollare la loro partecipazione al mercato del lavoro –, il divario occupazionale è migliorato di un punto percentuale (era all’11,7 p.p.).
E l’Italia? Il nostro Paese registra un divario occupazionale tra uomini e donne pari a 19,7 punti percentuali e segna la situazione peggiore dopo quella della Grecia (21 p. p. di differenza). Quanto Eurostat sancisce non è una situazione nuova ma è la fotografia di un fenomeno che caratterizza il nostro mercato del lavoro da più di 30 anni (Inapp, 2022).
https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/ddn-20231128-1
Se scendiamo a livello veneto, l’indicatore migliora e il divario occupazionale tra lavoratori e lavoratrici scende al 17,2. Se confrontato con quanto succede in altre regioni del Nord, come ad esempio la Lombardia e l’Emilia Romagna, il divario occupazionale veneto risulta di poco superiore a quello registrato in Lombardia (16,8 punti percentuali) ma superiore a quello dell’Emilia Romagna (13,8 p.p.). Rispetto però al 2019, l’indicatore migliora sia in Veneto sia in Lombardia a differenza dell’area emiliano-romagnola dove si mantiene stabile.
Il divario occupazionale (Gender Employment Gap) 20-64 anni in alcuni Paesi e regioni europee. Anno 2019 e 2022.
Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Eurostat-Rilevazione sulle forze di lavoro (tasso di occupazione 20-64 anni); ultimo aggiornamento 14/12/23.
Guardando alle regioni europee che presentano maggiori similarità con il Veneto, solo nella Comunità Valenciana il divario occupazionale tra donne e uomini raggiunge la doppia cifra (11,7 p.p.). Nelle altre regioni, l’indicatore si mantiene su livelli più contenuti. Se si guarda ad esempio a cosa succede nei territori nel Baden-Württemberg tedesco, nella Rhône-Alpes francese e nella Cataluña spagnola – tre delle regioni più industrializzare dell’Unione Europea –, il divario occupazionale si ferma rispettivamente a 8,3 p.p., 6,9 e 7,9 p.p.
Helsinki-Uusimaa, in Finlandia, è la regione dove la differenza nei tassi di occupazione tra donne e uomini si attesta sui 2 punti percentuali, dimezzando il divario rispetto a quanto accadeva nel 2019 (4,7 p.p.) e, quasi, annullando il Gender Employment Gap.
A livello complessivo, però, il divario di genere nelle diverse regioni europee persiste, con tassi di occupazione più elevati per gli uomini. In questa situazione, nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, l’obiettivo di tagliare a metà il divario di genere entro il 2030 avrà bisogno di ulteriori sforzi per essere raggiunto. In media, solo una regione su cinque dell’UE ha già raggiunto l’obiettivo fissato a 5,8 p.p.. Nessuna di queste regioni è italiana: 14 sono francesi, 7 tedesche, 5 (ossia tutto il territorio nazionale) finlandesi, 4 svedesi e 4 portoghesi. Come osserva l’ASVIS – Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile nel suo Rapporto 2023, i progressi realizzati in questi ultimi anni a livello europeo sono stati limitati, anche a causa della pandemia. La stessa ASVIS fa osservare come anche sulla parità di genere l’Europa stia viaggiando a due velocità tra Paesi più performanti ed altri meno: entrambi evidenziano miglioramenti, ma i primi migliorano a velocità maggiore.
Quali ragioni alla base del divario occupazionale di genere?
Una serie di ragioni causano la disparità di genere nell’occupazione. Le principali sono da imputare alle maggiori responsabilità assistenziali non retribuite che sono assegnate alle donne, alla discriminazione nelle assunzioni e alla scarsità di donne in ruoli apicali. Inoltre, fattori come l’inadeguatezza dell’assistenza all’infanzia, i disincentivi fiscali e la segregazione professionale contribuiscono a perpetuare il divario occupazionale di genere.
Ma ci sono anche ulteriori elementi da tenere in considerazione. Uno in particolare riguarda le diverse scelte di indirizzo di studio tra ragazze e ragazzi. Nonostante le prime superino i secondi a scuola in termini sia di livello di istruzione sia di risultati scolastici, di fronte alla scelta del percorso superiore o universitario, le ragazze tendono a privilegiare percorsi che sono spesso legati a rendimenti potenziali peggiori nel mercato del lavoro. Si tratta evidentemente di scelte, di “preferenze” che non sono innate ma nascono in contesti culturali e sociali che le spingono fortemente in questo senso.
Perché è importante affrontare la disparità di genere dal punto di vista occupazionale?
Innanzitutto, per una questione etica di equità: tutti dovrebbero avere pari opportunità nell’accesso al lavoro e nella progressione professionale, indipendentemente dal genere. Aumentare e migliorare la partecipazione delle donne al lavoro è un prerequisito per migliorare le condizioni di vita delle donne e contribuire a ridurre la povertà femminile, anche quando queste si ritireranno dal lavoro.
L’integrazione delle donne nel mercato del lavoro va però ben oltre le considerazioni di equità e correttezza, in quanto esiste un forte e innegabile legame tra la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’economia. Molti studi – a partire da quelli della Premio Nobel per l’Economia 2023, Claudia Goldin – mostrano come la partecipazione femminile nel mondo del lavoro generi una maggiore ricchezza complessiva. Quando uomini e donne hanno pari accesso al mercato del lavoro, l’economia beneficia di un uso più completo del talento e delle competenze disponibili, alzando i livelli di produttività e innovazione. Un tema questo evidenziato anche nel report “Le donne, il lavoro e la crescita economica” pubblicato nel 2023 da Banca d’Italia. I meccanismi di riallocazione dei talenti contribuiscono positivamente al miglioramento dell’economia di un Paese così come hanno dimostrato alcuni studi che hanno approfondito le diverse ragioni alla base della crescita economica americana negli anni Sessanta.
La necessità di aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro emerge ancora più chiaramente alla luce del calo demografico previsto per i prossimi decenni. Come sottolinea ancora Banca d’Italia, utilizzando le ultime proiezioni Istat si stima nel 2040 un calo di circa 6 milioni di individui tra i 15 ed i 64 anni in meno rispetto al 2022. Un tale cambiamento demografico implicherebbe una contrazione significativa della forza lavoro totale nei prossimi 20 anni. Un aumento del tasso di partecipazione femminile potrebbe mitigare queste tendenze demografiche negative. Ad esempio, se nei prossimi dieci anni si riuscisse ad alzare il tasso di partecipazione femminile italiano portandolo in linea all’attuale media UE, il calo previsto della forza lavoro si dimezzerebbe.
Sempre secondo il report di Banca d’Italia, un aumento della partecipazione femminile avrebbe inoltre un impatto positivo sul PIL. Le stime realizzate in diversi studi suggeriscono che, a parità di altre condizioni, sul lungo periodo, un aumento del 10% della partecipazione femminile aumenterebbe il PIL all’incirca dello stesso importo.