Fondi pensione: servono informazione, promozione e incentivi all’adesione
Intervista al Prof. Paolo Feltrin, docente di Scienze Politiche presso l’Università di Trieste
- Com’è il quadro della previdenza complementare in Italia oggi?
I dati parlano chiaro: da quando sono stati creati i fondi di previdenza complementare ad adesione collettiva, la quota di aderenti è più o meno stazionaria intorno ai 2.000.000; e tuttavia nello stesso periodo triplicano gli aderenti ai fondi aperti. Gli italiani continuano ad essere diffidenti verso i fondi collettivi, pur essendo questi vantaggiosi in termini di rendimenti, tanto che gli iscritti a previdenza complementare al 2017 sono appena il 28,9% del totale delle forze lavoro, rispetto a Paesi in cui l’adesione tocca il 90%.
- Come scalfire questa predilezione verso il risparmio privato?
L’Italia è uno degli ultimi Paesi nel mondo occidentale per adesione alla previdenza complementare, e presenta un ritardo fortissimo rispetto a molti altri Paesi europei. Esiste una serie di ragioni per questo ritardo: la prima spiegazione, ovvia, è quella legata agli ottimi rendimenti – talvolta addirittura superiori al reddito percepito durante il lavoro – che l’Inps ha garantito in passato. Ma c’è una seconda ragione, più strettamente culturale: ovvero il fatto che in Italia, in termini di cultura finanziaria sotto molti aspetti (investimenti in borsa, accesso al credito, sperimentazione di forme di risparmio evolute ecc.) i cittadini hanno sempre evidenziato un atteggiamento di diffidenza. Non per niente la quota elevata di risparmio privato rappresenta da sempre una peculiarità tutta italiana.
- Cosa porta a questa sfiducia?
È evidente che non viene comunicata ai cittadini – o almeno non in maniera adeguata e credibile – la solidità di questa forma di risparmio, la sua natura assicurativa, rispetto al reddito nella terza età, e le garanzie di tutela rispetto alle variabilità del mercato.
- Come si potrà evolvere in futuro la situazione?
Credo che la cosa principale sia comprendere che non si può attendere il solo aumento naturale delle iscrizioni, perché è troppo lento rispetto alle esigenze attuali. Occorre investire in strumenti che portino rapidamente a superare un gap che attualmente non è ancora giustificato. Il benchmark per una regione come il Veneto (che pure ha una performance migliore della media nazionale, con una quota di iscritti su forze lavoro del 35%) dovrebbe essere il Trentino Alto Adige, dove al 2017 la quota di aderenti sul totale lavoratori era oltre il 48%.
- Quali sono gli strumenti a disposizione?
Ne individuo due:
- Il primo ambito di intervento credo sia quello dell’informazione e promozione. Occorre fare un grande sforzo e pianificare un forte investimento per la promozione e la conoscenza degli strumenti: sia quelli finanziari sia quelli di risparmio gestito sia infine quelli di previdenza complementare. Non si tratta solo di far conoscere una possibile opzione di risparmio, ma di restituire ai cittadini un quadro chiaro e comprensibile dei vantaggi e delle tutele connesse a questo tipo di investimento. Non dimentichiamo che la crisi finanziaria è tutt’altro che lontana e tutt’altro che dimenticata.
- L’individuazione di incentivi all’adesione. Occorre innanzitutto superare una “soglia”, oltre la quale si verifica poi un assestamento naturale. Una similitudine è quella relativa alla raccolta differenziata: lo sforzo deve essere teso a passare da 0 a – come soglia ipotetica – il 30% di differenziata. Una volta colmato questo gap iniziale, la propensione alla differenziata aumenta senza che siano più necessari grandi sforzi promozionali. Non a caso il Veneto è la Regione con il più alto tasso di riciclo in Italia.
- Quali sono i limiti da superare?
Attualmente la condizione di aderente risulta ancora troppo strettamente legata al possesso di un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, una condizione che risulta troppo vincolante. In questo senso sono già stati posti dei correttivi, ma senz’altro i fondi complementari dovrebbero aprire il loro raggio di azione a:
- La possibilità di effettuare versamenti volontari, anche ad esempio a favore di parenti;
- La possibilità, per chi ha lavori autonomi o altre fattispecie, di versare in ogni momento un contributo, ad ammontari variabili a seconda delle disponibilità in ogni singolo momento del ciclo di vita. Per inciso,questo problema riguarda lo stesso Inps.
Un altro problema è la distinzione tra settore privato e settore pubblico. È chiaro infatti che per i lavoratori del settore privato è più facile raggiungere quote consistenti, data l’opzione di dirottare il TFR nei fondi previdenziali. Più complicato per il settore pubblico. Tuttavia potrebbe essere esplorata la possibilità, per i dipendenti pubblici, di versare volontariamente – in parte o in toto – le quote di premio di risultato in previdenza complementare. Questa opportunità potrebbe essere introdotta, anche in via sperimentale, estendendo ai lavoratori pubblici le esenzioni fiscali già presenti per i lavoratori privati in caso di premi di risultato utilizzati in prodotti di welfare.
Si tratterebbe un primo mattone su cui avviare una più diffusa adesione ai fondi di previdenza complementare nel settore pubblico. Si tenga presente che attualmente in Italia il fondo Perseo, il fondo contrattuale per dipendenti pubblici, conta 40.000 adesioni su una platea potenziale di più di 3.500.000 dipendenti pubblici: sono cifre irrisorie, un indicatore evidente di una questione irrisolta.
- Il Veneto ha predisposto una legge regionale in materia: qual è il suo giudizio?
La legge è interessante perché punta a sensibilizzare i lavoratori sull’importanza della previdenza complementare. Sotto questo profilo si tratta anche di una specificità veneta, che rende giustizia anche alle istanze di autonomia.
Infatti una specificità regionale veneta è data anche da:
- l’esistenza di un fondo speciale che dura da tempo e che ha una sua unicità nel panorama delle Regioni a statuto ordinario;
- l’avere una legge di promozione che ha anch’essa caratteri di unicità.
- Quali altri attori da coinvolgere?
Il ruolo centrale e decisivo è quello delle parti sociali, sia datoriali sia sindacali. Senza un loro fortissimo impegno è difficile pensare di cambiare la situazione. L’idea dovrebbe essere quella di vere e proprie campagne che coinvolgano direttamente tutte le strutture territoriali delle associazioni ai fini della promozione della previdenza integrativa. Come già detto, l’importante è superare il primo scalino, dopodiché tutto viene più naturale.
- Cosa potrebbe fare la Regione?
Oltre a al lavoro già svolto, occorre sperimentare forme nuove di promozione.
Poi, nel momento in cui la Regione conseguisse maggiori competenze in materia di previdenza complementare, si tratterebbe di immaginare traguardi ancora più impegnativi.
- Quindi si tratta di lavorare su comunicazione, sensibilizzazione e promozione?
Attenzione: il fatto che la pensione sia uno dei temi più sentiti dai lavoratori dipendenti è indiscutibile. Lo si vede anche dalle discussioni continue che ha scatenato la legge Fornero in tutti questi anni. Quindi non si tratta affatto di creare sensibilità al tema: il problema è che spesso, anche quando i temi sono sentiti, le risposte non si agganciano alle domande. Esiste sicuramente una domanda di sicurezza sociale: la sfida è quella di riuscire a far diventare senso comune diffuso la previdenza complementare come risposta credibile a questa domanda.