Fare debito e stare a casa: le contraddizioni in tempo di coronavirus
Il prof. Alberto Brambilla, Consigliere economico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, parla delle ricadute economiche che il coronavirus avrà nell’economia italiana, portando all’attenzione del lettore la necessità di vedere l’emergenza sanitaria in termini economici con autocritica e analisi, distante dalle “false promesse” di politica e media.
Sono due gli argomenti ormai assordanti che giornali, tv e politica ci inviano in modo ossessivo: a) ci vogliono tanti soldi, più debito, gli eurobond, gli aiuti da Europa e BCE; b) state a casa. Entrambi gli argomenti pur avendo qualche fondamento in questa gravissima situazione emergenziale, incorporano un peccato mortale: non dicono la verità agli italiani. Fenomeno più che ventennale e che ci ha portati a questa gravissima situazione: 25 anni in cui si è parlato solo di diritti, mai di doveri!
E così, nonostante siamo nati fortunati in un Paese che fa parte di quell’8% di nazioni in cui c’è tutto e di più (oltre all’immeritato 70% di patrimonio storico, artistico e archeologico), merito di chi ci ha preceduto, noi abbiamo fatto solo debito e siamo: i primi per mafie e burocrazie, gli ultimi per occupazione e produttività, i primi per debito pubblico e inefficienza amministrativa, per spese inutili (gioco d’azzardo, telefonini, palestre, chirurgia estetica) ed evasione fiscale. Ma la politica continua a blandire la popolazione, aiutata da tv e giornali che censurano ogni voce “fuori dal coro”; diritti a continuare a vivere come se il il virus Sars-CoV-2 non ci fosse e per fare questo dobbiamo fare debito. L’unico debito che si può fare oggi è quello per salvare vite umane finanziando una sanità che negli ultimi 20 anni è stata saccheggiata. Secondo la World Health Organization, in Italia siamo passati dai 595.000 posti letto del 1980 (1 posto letto ospedaliero ogni 94 abitanti) ai 151.600 posti letto della sanità pubblica nel 2017, cioè 1 posto letto ogni 398 abitanti; una terapia intensiva ogni oltre 7.500 abitanti; 28° su 36 nella classifica per infermieri per abitante, 10° per i medici, 23° per i posti letto.
Bisogna dire la verità agli italiani! E cioè che tutti, imprenditori, dipendenti, professionisti, artigiani e commercianti, avremo una diminuzione dei nostri redditi pari alla durata del nuovo coronavirus: 2 o 3 mesi? Che dobbiamo ridurre e di molto il nostro tenore di vita e smettere di vivere facendo debiti. Per usare un termine popolare, siamo “alla canna del gas”. Supponendo che la Covid-19 duri tre mesi dal 20 febbraio al 20 maggio, si può ipotizzare una perdita di PIL pari almeno al 50% dei 232 miliardi prodotti dal turismo (alberghi, guide, ristoranti ecc), più tre mesi di fermo al 40% delle attività produttive per altri 156 miliardi; pur considerando un parziale recupero negli ultimi 6 mesi dell’anno (non superiore al 20% se la Covid-19 si esaurisse a maggio), passeremmo da 1.800 miliardi circa di PIL a circa 1.600 (-11%).
Sull’altro fronte, gli attuali 2.360 miliardi di debito pubblico aumenterebbero, considerando il deficit previsto in Legge di Bilancio, più le nuove spese (30 miliardi?), le clausole di salvaguardia e le spese indifferibili (altri 30 miliardi), a 2.460 miliardi. Il rapporto tra debito e PIL aumenterebbe vertiginosamente al 153,7%, quota insostenibile per i mercati (spread) tanto più se si considerano almeno 60 miliardi di minori entrate fiscali e contributive. Forse ce la faremo con la Covid, ma la troika nel 2021 non ce la leva nessuno, e forse è un bene; una medicina amara contro la politica fanfarona che oggi si strappa le vesti per i tagli alla sanità: molti di quelli che ne parlano fanno politica da oltre vent’anni, più che fare interviste sarebbe onorevole si dimettessero, come tutti gli organismi sanitari che non avevano nemmeno previsto le tute protettive per i medici. Meno promesse e più verità, e gli italiani capiranno. La sfida si potrà vincere solo se anteporremo ai diritti, di cui siamo imbevuti, i nostri doveri.
Ma questo coro unanime di “state a casa”, usato mirabilmente da schiere di cantanti, attori e giornalisti in cerca di un rafforzamento della loro immagine in tempi grami per teatri e concerti e pronunciato con forza anche da molti politici, sa tanto di attacco per difendersi dagli errori in sanità; le carceri scoppiano (un anno non è bastato per approvare i braccialetti elettronici) e il ministro degli interni vorrebbe dare 12 anni di carcere a chi va per strada: e dove li mette?). Va bene dire state a casa, chiudiamo tutto, e poi? E poi ci sono i cittadini di “serie B”: le forze di sicurezza che devono garantire l’ordine, le farmacie, i negozi alimentari, le fabbriche che producono alimenti e farmaci, gli autotrasportatori e i “padroncini” per non farci morire di fame sui divani; chi produce e fa manutenzione a energia elettrica, gas, riscaldamento (per non farci morire di freddo); le assicurazioni, le poste, le banche, i supermercati. E se devono arrivare le merci anche i portuali, la logistica; e anche chi produce ortaggi, frutta e verdura, uova, pollame, e potremmo proseguire ancora.
Insomma, più della metà dei lavoratori al lavoro per non far morire l’altra metà.
*Il seguente articolo è stato pubblicato su Il Punto Pensioni e Lavoro, 23 marzo 2020