Cos’è la disuguaglianza di genere?
La Finlandia è stato il primo paese in Europa, il 18 Marzo 1917, che ha visto le donne poter esercitare il loro diritto di voto con l’introduzione del suffragio universale per le elezioni parlamentari. A partire da quella data, nei vari Paesi del mondo sono stati fatti sicuramente tantissimi passi avanti rispetto all’ottenimento di pari diritti e opportunità per uomini e donne. Tuttavia, ancora oggi è presente una forte disuguaglianza di genere, sulla quale riteniamo opportuno oggi soffermarci in occasione di tale ricorrenza.
Infatti, nonostante la situazione stia migliorando, si stima che l’anno in cui il gap tra i generi sarà colmato nel mondo sarà il 2154.
Si parla di “disuguaglianza di genere” quando un genere è sottorappresentato e/o svantaggiato – oltre che nella sfera privata e quotidiana – in contesti pubblici, sociali, economici e politici. Tale divario è maggiore in Italia rispetto al resto d’Europa, e lo ritroviamo a partire dalla scelta del percorso di studi (e la conseguente scelta del percorso professionale). È come se, crescendo, le ragazze interiorizzassero l’idea di non essere “portate” per ambiti tecnico-scientifici, i quali di solito offrono più opportunità di carriera e salari maggiori. Ciò dà vita alla “segregazione orizzontale”, ovvero alla diversa concentrazione di uomini rispetto alle donne in determinati settori e professioni (si pensi alla sovra-rappresentanza di donne nei settori amministrativi, dei servizi, del commercio, ecc.).
Ciò deriva dall’educazione ricevuta e dagli stereotipi che permeano le menti della maggior parte delle persone, ai quali le donne per prime arrivano a credere. Essi agiscono a partire dalla sfera domestica: è la donna la principale, se non unica, delegata ai lavori di cura e di assistenza. Soprattutto nel caso si abbiano figli, la carenza di servizi per l’infanzia non permette a entrambi i genitori di coniugare vita lavorativa e quella familiare: questo spinge uno dei due – quasi sempre la madre – a rinunciare del tutto o in parte (scegliendo un lavoro part-time) alla propria occupazione. Oggi le cose stanno leggermente andando in direzione opposta, con donne che sono sempre più fuori casa per lavoro e con uomini più consapevoli delle loro responsabilità familiari.
Tuttavia, gli stereotipi – che vedono la donna come il sesso “debole”, meno portato a svolgere determinate mansioni, troppo sensibile e poco assertivo – continuano ad essere presenti e ad influenzare, ad esempio, i processi di selezione lavorativa, durante i quali vengono utilizzati standard di valutazione specifici per genere: tantissime sono le donne che a parità di (o addirittura con più) competenze e certificazioni non risultano le candidate adeguate a certe posizioni, soprattutto se manageriali o dirigenziali. In quest’ultimo caso siamo in presenza del fenomeno del “soffitto di vetro”, che sta ad indicare la difficoltà che incontra una donna, una volta entrata nel mondo del lavoro, di avanzare nella propria carriera e raggiungere posizioni apicali, che restano dunque ad appannaggio degli uomini. Anche gli stipendi risentono di questi pregiudizi: il gender pay gap (il divario retributivo tra uomo e donna a parità di ruolo) è un fenomeno molto accentuato nel nostro Paese, soprattutto nel settore privato. E il raggiungimento da parte delle donne di un’istruzione “diversa” o “superiore” farebbe poco per colmare tale divario: anzi, oggi i maggiori divari salariali si collocano tra i lavoratori più pagati e con un’istruzione elevata. Alcune ricerche, tuttavia, ci dicono che le donne con un elevato livello di istruzione sperimentano minori differenze retributive basate sul genere all’aumentare della durata del rapporto di lavoro. Alcuni studi hanno anche attribuito parte del divario a differenze di personalità: ad esempio, a parità di istruzione, le donne poco sicure di sé guadagnerebbero in media meno rispetto a uomini troppo sicuri di sé. Dal punto di vista sociale, il divario retributivo serve a preservare lo status quo rispetto ai ruoli di genere e dunque a sostenere lo status minore delle donne nella società.
La riduzione del divario di genere è il quinto obiettivo dell’Agenda 2030 dell’ONU. In particolare, possiamo soffermarci sul traguardo 5.1 (“Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze”), 5.4 (“Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali”) e 5.5 (“Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”).
Il Global Gender Gap Report 2023, pubblicato dal World Economic Forum, analizzando l’evoluzione della parità in 146 Paesi del mondo attraverso quattro dimensioni – opportunità economiche, istruzione, salute ed emancipazione politica – ha messo in evidenza come la strada da percorrere sia ancora molto lunga.
Mentre per quanto riguarda i livelli di istruzione rimane da colmare solo il 4,8% del divario di genere, rispetto alle professioni STEM le donne sono ancora sottorappresentate: esse rappresentano infatti il 49,3% degli occupati nelle professioni non STEM, e solo il 29,3% nelle professioni STEM.
La parità di genere nel mercato del lavoro rimane ancora un traguardo lontano: le donne continuano ad affrontare tassi di disoccupazione più elevati rispetto agli uomini, e anche quando ottengono un lavoro spesso devono affrontare condizioni scadenti.
Inoltre, i dati rivelano come le donne in posizioni dirigenziali siano il 32,2%, circa il 10% in meno rispetto al totale della forza lavoro femminile (41,9%).
Anche nel campo della leadership politica, nonostante ci sia stato un aumento del numero di donne che ricoprono incarichi decisionali, i divari di genere perdurano. Nel 2013, nei 76 Paesi con dati a disposizione, solo il 18,7% dei membri del parlamento erano donne. Percentuale che nel 2022, è salita al 22,9%. Al 31 dicembre 2022, il 27,9% della popolazione mondiale vive in Paesi con un Capo di Stato donna.
Per misurare quanto un Paese sia distante dalla parità viene utilizzato il Global Gender Gap Index, con una scala da 0 (= assenza di parità) a 1 (= totale parità). L’Italia – con uno score di 0.705 – si colloca al 79esimo posto (nel 2022 si era collocata 63esima), con il punteggio più basso (0.618) nell’area “partecipazione economica e opportunità” (104esimo posto). L’Islanda è invece il paese che ha colmato oltre il 90% del divario, dunque si colloca al primo posto, seguito dalla Norvegia e la Finlandia.
Per affrontare le disuguaglianze di genere è dunque fondamentale aumentare la partecipazione economica delle donne e garantire un’equa distribuzione di uomini e donne nei ruoli di leadership, sia all’interno delle aziende che al governo. Proposte concrete come l’implementazione di congedi parentali equi, l’adozione di politiche certificate per la parità di genere e il potenziamento dell’istruzione civica sono necessari per accelerare l’eliminazione delle disuguaglianze e per far sì che si inizino a riconoscere e valutare le persone rispetto alle loro competenze e risorse, indipendentemente dal genere.