Culture aziendali che premiano il lavoro avido: quali azioni sono necessarie?

Culture aziendali che premiano il lavoro avido: quali azioni sono necessarie?

Claudia Goldin, studiosa americana che nel 2023 ha ottenuto il Premio Nobel per l’economia, esplora la concezione del lavoro che permea il nostro Paese nel suo libro “Career & Family: Women’s Century-Long Journey Toward Equity”, tradotto in italiano a maggio 2024.

Il testo esamina come il ruolo delle donne nel mondo del lavoro sia cambiato nel corso dei decenni: dall’epoca in cui le donne erano prevalentemente confinate a ruoli domestici, alla loro graduale integrazione nel mercato del lavoro, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove si trovano a bilanciare carriera e responsabilità familiari.

Uno dei temi centrali del libro è il divario di genere nel lavoro: le donne sono spesso penalizzate rispetto agli uomini in relazione ai salari e alle opportunità di avanzamento di carriera. Nel libro viene messo in evidenza come sia proprio la concezione attuale del lavoro il fattore responsabile di tali divari. 

Nello specifico, ciò che all’interno delle organizzazioni viene premiato – in termini di retribuzioni più elevate e possibilità di crescita – è il cosiddetto “lavoro avido”, che consiste nel lavorare oltre le ore standard e nel rimanere costantemente reperibili anche quando si è a casa nei weekend.

Come sottolineato dall’autrice, sono spesso gli uomini che hanno la possibilità di dedicare più tempo (anche extra) al lavoro, mentre le donne – a causa delle aspettative sociali e delle responsabilità legate alla cura della famiglia e dei figli – prediligono maggiore flessibilità e si limitano all’orario lavorativo standard, ottenendo dunque una retribuzione inferiore. Se, all’interno di un nucleo familiare, tale scelta venisse fatta da entrambi i partner, essi avrebbero un reddito insufficiente per mantenere l’intera famiglia. Dunque, uno dei due – quasi sempre la donna – deve sacrificare parte della propria carriera, facendo così venir meno l’equità di coppia e la parità di genere.

Goldin specifica come le politiche attuate nel nostro Paese e i traguardi raggiunti – come l’ammonimento bonario nei confronti di aziende con politiche interne discriminatorie o una donna che riesce a raggiungere una posizione di elevata responsabilità – siano solo dei cerotti dati ad una persona gravemente malata: le leggi antidiscriminatorie, seppur importanti, non sono sufficienti; l’unico modo per risolvere il problema è andare ad agire alle sue radici, dunque cambiare quella che è la concezione del lavoro odierna. 

Non è qualcosa di utopico, anzi: la maggior parte delle aziende potrebbe fare qualcosa semplicemente modificando la struttura del lavoro in sé, nello specifico diffondendo una cultura del lavoro meno avida che non premi il superlavoro o il lavoro in orari non standard

La soluzione proposta da Goldin si riferisce all’aumento, per mezzo di mezzi informatici che permettano di condividere i dati completi di ciascun cliente, della sostituibilità dei lavoratori, anche i più qualificati, in modo tale che un collega possa fornire un servizio identico a quello di un altro collega. Se i tutti i lavoratori sono perfettamente intercambiabili, non è necessaria la presenza o reperibilità costante di ciascuno. Tuttavia, non si può negare il fatto che ci siano aspettative sociali su alcune professioni: ad esempio, è ritenuto inaccettabile che un “cliente importante” di studi legali o di consulenza venga assistito da un avvocato o consulente diverso da quello con cui ha avviato la propria attività.

Le misure di welfare aziendali possono incentivare il passaggio – auspicato dalla studiosa – da una cultura organizzativa “greedy” ad una cultura organizzativa più flessibile che penalizzi meno le donne.

Non parliamo solo delle classiche misure – come i congedi parentali equamente distribuiti tra uomini e donne, la flessibilità oraria, l’ormai diffuso smart working e gli asili nido aziendali (o i rimborsi per l’iscrizione dei figli a strutture esterne all’azienda), le quali comunque favoriscono un’adeguata conciliazione vita-lavoro permettendo di dedicare il proprio tempo sia alla famiglia che alla carriera: le aziende possono agire ancor di più creando percorsi di carriera equi, che non penalizzino chi non può lavorare oltre le ore standard, assicurando che le promozioni e gli aumenti salariali siano basati sulla qualità del lavoro e non sulla quantità di ore lavorate. Inoltre, per mezzo di workshop e seminari, le aziende possono promuovere una cultura aziendale che valorizzi la diversità e l’inclusione e fornisca consapevolezza rispetto alle problematiche legate al divario di genere. Ancora, sarebbe utile creare politiche che scoraggino il superlavoro, ad esempio limitando le e-mail fuori dall’orario di lavoro e incentivando l’uso completo delle ferie annuali.