Welfare: in Veneto un lavoratore su due aderisce ai Fondi integrativi, spinta alla bilateralità per la diffusione del welfare aziendale
Si è svolto a Venezia, presso il Palazzo Grandi Stazioni della Regione del Veneto, il convegno “Prospettive della bilateralità e welfare. Come rafforzare le strategie della bilateralità per costruire un sistema più inclusivo e attento ai bisogni di lavoratori e imprese”.
L’incontro, promosso da Veneto Welfare, unità operativa di Veneto Lavoro che si occupa di promuovere e favorire lo sviluppo della previdenza complementare e degli strumenti di welfare integrato in Veneto, ha messo a confronto rappresentanti del mondo accademico, associazioni, sindacati, fondi ed enti bilaterali.
Ad aprire i lavori Silvia Cavallarin, Responsabile dell’Unità operativa Veneto Welfare, che ha ricordato le attività svolte negli ultimi anni. In particolare, l’avvio di un sistema di accreditamento delle forme di welfare in Veneto, esempio unico a livello nazionale, che ha nella presenza sul territorio e nell’investimento sull’economia locale le sue caratteristiche distintive, e gli studi dell’Osservatorio sul welfare, appositamente istituito, in materia di contrattazione collettiva di secondo livello e di welfare territoriale.
“L’aumento degli iscritti alla previdenza complementare registrato negli ultimi anni è un segnale incoraggiante – ha sottolineato Tiziano Barone, Direttore di Veneto Lavoro – Dal 2018 abbiamo registrato una crescita del 15% e oggi il Veneto vanta una percentuale di lavoratori iscritti ai Fondi superiore al 43% rispetto a una media nazionale del 35%. Ma ci sono ancora ampi margini di sviluppo, soprattutto nell’ambito delle piccole imprese, per le quali la bilateralità può rappresentare un importante tramite per l’attivazione di strumenti di welfare aziendale in favore dei propri dipendenti. L’obiettivo del convegno che abbiamo voluto promuovere proprio su questo tema era quello di presentare le buone prassi già in essere sul territorio e soprattutto analizzare le prospettive di sviluppo. Ne è emerso che una delle strade da percorrere può essere quella di portare la bilateralità nell’alveo normativo del welfare aziendale, anche per ridare al terzo settore un ruolo centrale e fornire una possibile risposta alle criticità di un sistema sanitario in difficoltà e a una povertà che i dati ci dicono essere in preoccupante aumento”.
Un tema evidenziato anche da Emanuele Massagli, Presidente dell’Associazione Italiana per il Welfare Aziendale: “Gli ostacoli che oggi la bilateralità si trova ad affrontare rispetto all’erogazione diretta di strumenti di welfare aziendale sono rappresentati in primo luogo dai costi aggiuntivi in termini di tassazione. La risposta è intervenire sulla normativa e ciò può essere fatto in due modi: portare il welfare aziendale verso la bilateralità, ma sarebbe un errore perché andrebbe a complicare la diffusione di tali strumenti, oppure al contrario dare alla bilateralità i vantaggi che vanta oggi il welfare aziendale in termini contrattuali e fiscali. Solo permettendo agli enti bilaterali di fare welfare aziendale come tutti gli altri soggetti si potrebbe amplificare quella strategia win-win-win (per datori di lavoro, lavoratori e Stato) che il welfare aziendale già offre”.
“Il tema mi è particolarmente caro – ha concluso Tiziano Treu, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro CNEL – perché già molti anni fa ho promosso lo sviluppo di strumenti di bilateralità e da questo punto di vista il Veneto è stato un pioniere. Negli ultimi anni il welfare aziendale ha conosciuto uno sviluppo importante, ma la difficoltà è quella di raggiungere anche le piccole imprese. La funzione degli enti bilaterali può essere proprio questa: estendere e rendere accessibili a tutti i pilastri del welfare contrattuale. Ma oggi il quadro del welfare presenta diverse sfaccettature, dal socio-sanitario alle politiche del lavoro, passando per bilateralità, previdenza complementare e sanità integrativa. Per evitare un disallineamento è necessario ci sia una visione omogenea e un coordinamento nazionale in tema di welfare, senza dimenticare l’importanza di una rete territoriale diffusa, anche adattando il quadro normativo a questi obiettivi di sintesi”.
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