Come cambieranno le pensioni dopo il coronavirus
Il prof. Alberto Brambilla, Consigliere economico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, e Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff, analizzano gli effetti dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi economica sulle pensioni.
In questi ultimi 7 anni, dal 2012 al 2018, per una serie di leggi – quali Quota 100, le 8 sanatorie, APE sociale, opzione donna e i precoci – oltre 340 mila lavoratori hanno potuto andare in pensione con requisiti di età e anzianità contributiva molto più favorevoli di quelli previsti dalla riforma Monti-Fornero, per un costo stimato intorno ai 30 miliardi di euro. Nonostante ciò il nostro sistema di protezione sociale, in primis quello pensionistico, si è dimostrato solido e sostenibile. Nel 2018 il rapporto attivi/pensionati (1,45 attivi per ogni pensionato), il tasso di occupazione totale (58,5% pari a 23 milioni e 215mila attivi), quello femminile (49,6%) e quello degli over 50 (60,5%) sono stati i migliori di sempre; il numero di pensionati è stato il più basso di sempre (16 milioni e 4mila).
Nel 2019 è entrata in vigore la normativa nota come Quota 100 e altre agevolazioni: opzione donna, APE sociale, anticipazioni per il blocco della anzianità contributiva e per i lavoratori precoci che hanno lavorato per almeno 12 mesi effettivi prima dei 19 anni di età. In totale, a fronte di ben 471.262 domande, escludendo le 202mila richieste di anticipo di tre mesi, sono state concesse 264.765 pensioni (oltre a 107mila anticipi di tre mesi). Pertanto il numero di pensionati nel 2019, per la prima volta dal 2009, è di nuovo aumentato a circa 16 milioni 250mila. L’anticipo medio effettivo – escludendo opzione donna, che però ha un costo modesto – è di poco più di 24 mesi, il che significa un riassorbimento e un ritorno a un rapporto positivo in circa 2 anni.
Figura 1 – Le domande accolte per genere e tipologia di pensionamento
Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Lo scorso anno è comunque aumentato anche il tasso di occupazione globale raggiungendo un nuovo record con oltre 23.400.000 (tasso di occupazione 59,2%), valore che, a dicembre, ha però cominciato a calare (-75.000) e sono diminuite le ore di cassa integrazione. Su questo trend positivo è piombata come uno tsunami la pandemia di SARS-CoV-2. Quali riflessi avrà sulle pensioni?
Probabilmente, effetti molto gravi a partire dalla propensione al pensionamento. Infatti si pensava che le richieste di pensionamento con Quota 100 si riducessero a non più di 50mila nel 2020 e 2021, perché oltre l’80% dei potenziali beneficiari ha la pensione calcolata con il sistema misto (60% e più di contributivo) e quindi l’opzione per coloro che hanno una età di 62 anni avrebbe comportato la riduzione di circa il 10% permanente della prestazione (da una media del 73% a circa il 65% nel 2020 e ancor meno nel 2021); anche opzione donna era vista in calo. Ma la pesante situazione occupazionale prodotta da COVID-19 costringerà molti lavoratori rimasti senza lavoro e senza ammortizzatori sociali a richiedere la pensione: meglio una prestazione ridotta che zero entrate. È quindi prevedibile quest’anno un aumento dei pensionati di circa 160mila unità e con un anticipo medio di oltre tre anni. Nel contempo, la riduzione dell’occupazione iniziata già a dicembre 2019 proseguirà nel corso dell’anno e non è escluso che scenda sotto i 23 milioni; il che vuol dire che il rapporto attivi pensionati potrebbe ridursi pericolosamente al di sotto dell’1,4 riportandoci ai valori del 2015 con pesanti ripercussioni sulla sostenibilità del sistema pensionistico, tanto più che si avranno ampie riduzioni sul versante delle entrate contributive le quali, nel 2019, avevano invece raggiunto il livello più alto di sempre con circa 210 miliardi.
Per l’anno in corso è ipotizzabile una perdita di gettito contributivo pensionistico di circa 11 miliardi, al netto dei 12 miliardi di contribuzione figurativa a carico dello Stato e della perdita di gettito per le prestazioni temporanee; sul lato delle prestazioni, la differenza tra le cosiddette cancellazioni relative alle persone decedute, aumentate di quasi 20mila unità a causa di COVID-19, e le nuove liquidate – comprese quelle relative a Quota 100 e provvedimenti collegati – produrrà un incremento notevole della spesa, che si potrebbe attestare a circa 240 miliardi rispetto ai circa 225 del 2018 e ai 230 del 2019. Il drastico peggioramento del rapporto entrate contributive e spese per prestazioni (i contributi potrebbero coprire solo l’83% della spesa totale) potrebbe causare un disavanzo di circa 41 miliardi contro i 21 circa degli ultimi 4 anni.
Lo scorso 20 marzo, ipotizzando che la “crisi” si concludesse il 20 maggio e supponendo un parziale recupero negli ultimi 6 mesi dell’anno, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali aveva previsto una perdita di PIL pari all’11% (da circa 1.800 miliardi a circa 1.600) e un incremento del debito pubblico dagli attuali 2.360 miliardi a 2.460 miliardi; secondo le previsioni il rapporto debito/PIL aumenterebbe vertiginosamente al 153,7%, quota insostenibile per i mercati, tanto più se si considera una perdita di gettito fiscale di almeno 70 miliardi. Se nella crisi del 2008 con una perdita di PIL di 7 punti ci fu una riduzione di 378.000 occupati, nel 2020 si potrebbe arrivare a quasi 600.000 unità. Però, mentre nel 2009-2010 le aziende usarono massicciamente il part-time e il contratto a termine per limitare le perdita di produzione, stavolta le filiere più colpite cominceranno a tagliare proprio quei posti di lavoro, colpendo donne, giovani e basse professionalità, con scarse prospettive di riassunzione nel breve termine; considerando gli autonomi si potrebbe arrivare attorno al milione di disoccupati in più.
È certamente giusto in questa situazione pensare al sostegno del reddito ma a maggio i soldi finiranno e, se le imprese non verranno messe in condizione di lavorare, lo spread potrebbe arrivare a 350 punti e a quel punto addio sovranità. Certo, la burocrazia del protocollo di sicurezza (oltre 20 pagine che dicono persino come andare in bagno) e la responsabilità civile e penale delle imprese se un dipendente si ammala di COVID-19 non aiutano; un piano di ammodernamento di ospedali, carceri e servizi sanitari (36 miliardi dal MES senza condizionalità) e quasi 100 miliardi di interventi pubblici potrebbe lenire la crisi.
*Il presente articolo è stato pubblicato su Il Punto Pensioni e Lavoro, 19 maggio 2020