Come cambierà il welfare – intervista a Luca Romano
Abbiamo intervistato Luca Romano, Direttore Local Area Network – esperto Veneto Welfare per sapere quali cambiamenti produrrà l’emergenza sanitaria da Covid-19 nel settore del welfare. Il Covid-19, infatti, ci costringerà a ripensare la gestione, l’efficacia e la realizzazione delle politiche del lavoro e di assistenza.
D. E’ stato detto e ripetuto fin troppo che questa pandemia da Covid 19 è un evento di tale impatto da determinare un cambio epocale. Quali sono le principali conseguenze che comporta per i sistemi di welfare e per le politiche del lavoro?
R. Certamente siamo entrati, e con quale velocità, in una nuova epoca, e dovremo esserne consapevoli non tanto adesso, nell’emergenza, ma soprattutto nel momento in cui le misure restrittive verranno allentate. Il tempo più ravvicinato, nell’immediato e per tutto il 2020 l’emergenza determina il rinvio delle politiche del lavoro e di welfare che erano state programmate in tempi normali e la riscrittura totale delle agende delle politiche stesse. Anche dal punto di vista delle scelte che verranno fatte non c’è solo un problema di quantità, dovremo triplicare o più gli interventi che facevamo prima. Ma ci sarà un problema di senso, sosteniamo il lavoro in aziende che difficilmente eviteranno il fallimento? Sosteniamo le imprese anche se alcuni settori sono già spiazzati e da riconvertire? E come prevediamo di ripensare il sistema di welfare? Cominciamo dal welfare. L’impatto del virus comporta uno spostamento consistente di spesa pubblica a favore del sistema sanitario in senso stretto, il sistema clinico diagnostico. Pertanto avremo ancora più bisogno di prima di costruire e rinforzare solide infrastrutture integrative al welfare sociale e sanitario non ospedaliero, canalizzando risorse anche di mercato, private e filantropiche. Il Veneto è avvantaggiato da una grande storia del sistema con le due “esse” delle ULSS, sociale e sanitario.
D. Quali sono le questioni da affrontare più direttamente, in campo sanitario e assistenziale?
R. L’analisi delle nuove fragilità già prima della pandemia conduceva a rilevare due tipi di cambiamento. Il primo era il passaggio da problematiche circoscritte e settoriali a una vulnerabilità diffusa e generale, diciamo interclassista. Il secondo consisteva in un processo di fragilizzazione molto più veloce e imprevedibile, per eventi traumatici. Il tutto in un contesto di indebolimento, certo non generalizzato, della comunità “naturale” di prossimità e di conclamata impossibilità del welfare pubblico nel rispondere a tutto sia in termini di risorse umane che finanziarie. Di colpo, il virus ha prodotto un’estensione senza precedenti della fragilità a tutto il contesto sociale dal punto di vista dei rischi per la salute, se non della vita. L’elemento del tutto inedito è la contraddizione tremenda tra l’annientamento dei rapporti di socialità connessi alle restrizioni da distanziamento e la riscoperta del comune che ci riguarda tutti, che solo mettendoci in comune possiamo ritrovare una convivenza normale. Durante l’emergenza dobbiamo partire da questi dati di fatto.
D. Vediamo allora di fare una fotografia di come l’emergenza ha esteso è aggravato le fragilità, determinando un cambiamento del modello di welfare necessario?
R. Adotto uno schema che definisco dei quattro cerchi per dare un senso alle diverse intensità delle fragilità. Nel primo, diciamo il più critico di tutti, ci sono le persone che soffrono di non autosufficienze croniche o disabilità di una certa gravità, che non hanno una famiglia di riferimento e per le quali il distanziamento sociale significa una perdita di connessione, punto. Nel secondo cerchio al problema di salute subentra uno stato di indigenza materiale, di isolamento affettivo e, come nel primo caso, una disconnessione online e offline. Poi vengono i veri e propri soggetti spiazzati dall’emergenza, che a causa di questa e del distanziamento hanno perso il lavoro, anche a volte sommerso, come nel caso delle badanti o di esodati lontani dal pensionamento che si arrabattavano con lavori informali; sono schiacciati nel girone infernale degli invisibili, oscurati sia dalla cortina socialmediatica che da quella burocratica. Infine il quarto cerchio sono le persone già in difficoltà prima della pandemia e che ora si trovano a dover affrontare una situazione molto peggiore senza strumenti. Per esempio penso a quelle migliaia di persone, che secondo Veneto Lavoro, hanno perso l’occupazione a Febbraio, cosa faranno adesso? Lo scenario purtroppo è molto ampio e con caratteristiche molto diverse, per cui ci vorranno strategie differenziate di risposta.
D. Veniamo dunque alle risposte, quali sono le azioni distinguendo quelle che dovremmo mettere in campo subito e quelle di breve medio termine, che dovrebbero essere attuate?
R. L’obiettivo è quello di rinforzare, dove c’è, e di costruire, dove manca, un welfare territoriale di comunità, un’organizzazione coordinata dei servizi territoriali insieme a uno stile operativo che crei e rinsaldi lo spirito di cura e di assistenza nel territorio. La comunità di chi cura, peraltro estremamente stressata in questa fase, va allargata a chi fa assistenza e accoglienza. Nessuno discute sul fatto che il pubblico abbia la regia di ultima istanza, ma ci vuole un coinvolgimento senza precedenti del privato, del sociale, del volontariato e del terzo settore. Tra l’altro spesso solo loro dispongono di una mappa aggiornata delle criticità aggravate dall’emergenza. Questa mobilitazione deve fare i conti con i nuovi vincoli posti dal virus. Pertanto le autorità sanitarie della Regione dovrebbero stabilire sedi, strumenti e procedure validate per mettere in sicurezza tutti i lavoratori del welfare e i volontari. La sede non può certo essere l’ospedale in questa fase, ma potrebbero essere i distretti, anche come luoghi di coordinamento delle azioni di assistenza e di aiuto. C’è un secondo aspetto che non va sottovalutato, ed è che sempre il terzo settore dovrebbe avere l’affidamento dei servizi per accedere ai benefici del Decreto Cura Italia e di quelli che verranno, perché molte fragilità sono aggravate dalle strozzature burocratiche e tecnologiche. Azioni di questo tipo rafforzano la comunità territoriale non lasciando le persone impotenti o in balia degli algoritmi delle piattaforme. Oltre alle malattie si muore anche di solitudine e di abbandono.
D. Nella suddivisione che hai proposto in quattro cerchi il terzo e il quarto sono gli invisibili nella società della connettività spiazzati dall’imperativo del distanziamento e i precari della normalità disoccupati dall’inattività forzata senza ombrello di welfare. Per loro, passata l’emergenza non c’è un problema di mera assistenza ma di riattivare politiche del lavoro?
R. Infatti, questa situazione sta mostrando in termini estremi quanto, nel nostro modello socio – economico, lavoro e welfare si debbano integrare perché le situazioni di fragilità sia dal lato dell’offerta che della domanda sono sempre più diffuse, accelerate, imprevedibili. Funzionano come il mercato dei beni materiali, ma non abbiamo le informazioni del sistema dei prezzi per regolare il rapporto tra bisogni e offerta. Questa nuova frontiera interroga fino in fondo la sussidiarietà che non sarà più la ruota di scorta della società strutturata, in posizione ancillare e comunque marginale. Saranno, infatti, proprio i soggetti della sussidiarietà che si metteranno in mezzo tra bisogni e risposte. Mi ha molto colpito in questi giorni un Sindaco che ha dichiarato scandalizzato che “lo Stato non ci ha spiegato come dobbiamo spendere il buono per la spesa alimentare”. E’ incredibile che ci siano ancora queste logiche di totale incapacità a costruire in autonomia una rete di rilevazione dei bisogni primari. Per fortuna credo che sia stata una voce abbastanza isolata. Però mi sento di dare una “spinta gentile” a Veneto Welfare, di farsi parte attiva nella costruzione di una governance indiretta del sistema di sussidiarietà veneto, così come sta già facendo nell’ambito della previdenza complementare. La governance indiretta è molto più impegnativa di quella diretta, perché regola e coordina delle volontà autonome in base al consenso e alla cooperazione operativa, non con contributi economici e norme coattive. Certamente in alcuni ambiti i soggetti sussidiari diventano protagonisti perché sanno intervenire in tempo reale e mobilitano al meglio anche le risorse private.
D. E per il versante delle politiche attive del lavoro?
R. Un intervento di dimensioni possenti in termini di ammortizzatori sociali è indispensabile in questa fase. C’è l’esperienza maturata da Veneto Lavoro per quella che possiamo cominciare a definire come la penultima crisi, quella del 2008, che man mano che il tempo trascorre ci sembrerà ben più lieve di questa! Ma stanno venendo avanti problemi davvero giganteschi, che non hanno neppure un quadro legislativo di riferimento.
Il lavoro agricolo, per esempio, che in primavera ha il suo punto più acuto ed è considerato tra le attività essenziali. Come faranno le aziende più piccole, prive di flussi di cassa dalla fine di febbraio a pagare i lavoratori? Ci vuole una cassa in deroga anche in assenza di sospensione lavorativa, ma che andrebbe disciplinata come qualcosa del tipo reddito di continuità. Un secondo più ampio e più drammatico fronte è quello del lavoro autonomo nel turismo, nel commercio di prossimità, nell’artigianato di servizi, del terziario professionale. Solo a emergenza terminata si potrà cominciare una peraltro complicatissima misurazione del danno. Anche in questo ambito la sussidiarietà potrebbe svolgere un ruolo. Penso agli enti bilaterali, che forse sarebbero preziosi cominciando a creare il quadro conoscitivo di settore, di territorio e di filiera per organizzare la canalizzazione degli aiuti a compensazione della cessata o ridotta attività. Qui l’urgenza è massima perché rischiamo anche gesti disperati. La Pubblica Amministrazione ha vincoli burocratici che non sono più sopportabili da persone allo stremo e si sta sottovalutando il peso del loro freno. In questo ambito il ruolo di Veneto Lavoro potrebbe diventare indispensabile anche sul lato della proposta tecnico – normativa, come lo era stato nel 2008 per la cassa in deroga, rispetto ai provvedimenti da mettere in campo.